Tuesday, December 28, 2010

the city of your final destination



bacche selvatiche-talpe-del miele-un caffé
gocce di rum-mosche-un'ape-la tovaglia-un babà
una poltrona vuota-gli scacchi-e un mazzo di cucchiaini scintillanti
ti rechi in un posto per venire da me-
volti le spalle ma non sai dov'è-
bacche selvatiche-talpe-una mosca-un caffé


bright and elegant and free

Bricks by tunng

Thursday, December 23, 2010

heimat 4



potrebbe essere, non so perché. una via familiare tra la germania e il mare.
stranamente caldo e davvero poco prima di natale.
non mi conosci? non  mi conosci ormai?

Monday, November 29, 2010

Maiale, Majakowskij, Malfatto*






*...gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro...

Friday, November 05, 2010

caro blog

mi ero dimenticata di te. sei molto taciturno ultimamente. ammetti le tue colpe. sei stato troppo in disparte. io sono assenteista, è vero. però tu non hai fatto nulla per ricordarmi della tua presenza. un trillo, un'email di notifica, che ne so. sì, non ti ho mai dato un recapito. lo so. il fatto è che io non ho mai dato un recapito neanche a facebook, per dire. e quelli invece mi contattano sempre. tu lo conosci facebook? è uno molto insistente, te lo dico. forse non andreste molto d'accordo. siete come agli antipodi. io ho cercato di non parlargli mai di te e spero non ti abbia scovato. finché non ti scova tu non esisti, e sarà meglio per te. tacere fino a quel giorno che non ti scopre e non ti ingoia, fino a quel giorno. quel mark zuckerberg con la pancia di balena e 500 milioni di giona tra cui anch'io, scollegata seriale assediata dai fantasmi del passato. stasera ho pensato di fargli un dispetto, sai. e di scrivere a te. e di far sapere i miei gusti musicali solo a te, che ascolti in silenzio. che i tuoi commenti innocenti te li tieni per te. ho deciso di far ascoltare a te una delle canzoni più sputtanate dello scorso millennio. venduta a tutti gli slogan del mondo e a tutte le pubblicità. dedicata e scavalcata senza espressa richiesta. nonostante questo non  asfaltata. secondo me. si trovava in una compilation che mi aveva dato mio padre. lui non sapeva chi avesse fatto la compilation. aveva trovato la cassetta in una casa in campagna e l'aveva presa. poi me l'aveva data perché quel giorno compivo 10 anni e qualcuno, non lui, aveva pensato bene di regalarmi un walkman ma io non sapevo che farci perché non avevo niente da ascoltare e non sapevo per la verità cosa ascoltare, a 10 anni.  a 10 anni cristina d'avena era già tramontata e take that e east 17 non erano ancora sorti. che parentesi felice, che era. io ero contenta del walkman perché mi sembrava fico camminare con le cuffie, a 10 anni. le cuffie nere col cerchietto metallico da calcare in testa, non gli auricolari, che non esistevano, o che comunque non li avrei presi in considerazione perché secondo me c'era proprio un vantaggio estetico nella cuffia molto visibile all'esterno. e insomma una delle canzoni della compilation ora la posto ma prima ti volevo ringraziare perché tu metti a disposizione illimitati caratteri per presentare le cose e non mi costringi a contare le parole. anche quelle che non sono essenziali come queste. le tolleri. in questo sei più essenziale, anche se non sei "l'essenziale". anzi. non ne possiamo più di queste anime appese ai fili della rete. sono certa che non ne puoi più nemmeno tu. e che ci piace ignorare chi sia quel "Bolo" che aveva fatto la compilation, che cosa altro abbia fatto nella vita oltre a scrivere il suo nome sull'etichetta della cassetta. non lo cercheremo su google. e se lo cercassimo non ci sarebbe. per fortuna sua. aveva capito in tempi non sospetti che bisogna chiudere le persiane, ogni tanto. e lasciare agli altri la libertà di non guardare. io pensando  a lui senza poterlo veramente pensare, in assenza di riferimenti che mi permettano di pensare ad alcunché o a chicchessia, mi ricorderò sempre del bolo alimentare, una cosa che mi facevano studiare in quegli anni alle elementari. penserò alla madre di una mia compagna dell'epoca che ogni volta che mi invitavano a pranzo mi ripeteva un proverbio in latino che significava che la prima digestione avviene in bocca. forse io masticavo troppo con la bocca aperta e non ero tanto educata, chissà.  col Bolo tra le fauci e nelle orecchie, dimentica di tutto,  come chi scopre per la prima volta questa roba qua, uno schiaffo alle modelle affamate sul lato selvaggio della strada, la tua macchina metaboloca va più forte

   

Monday, September 20, 2010

Il fuoco che bruciò Roma è solo sprazzo

alla fine non ho resistito e l'ho chiamato, gli ho detto vieni autunno, ho troppa voglia di rivederti. quaggiù abbiamo tutti bisogno di te, compreso me, che ho sete di te.
firmato in calce,
(Il Narratore)



Poi dopo non so quanti mesi è iniziata a crollare una pioggia pesante, per pochissimo tempo per fortuna. Siamo quasi annegati

Friday, July 30, 2010

Ora che l'estate giunge shakespearianamente a metà

Mi pare si possa dire che un sacco di gente la consideri la stagione superficiale. Secondo me non è così. Solo che in genere c'è una certa invidia per il bello, e allora va degradato in qualche modo. Anche nei fatti. Ad esempio, mi pare da tempo immemorabile che vengano chiamati "beach books" i libri più cretini dell'anno, gli equivalenti estivi dei cinepanettoni natalizi, quando a dire la verità sotto l'ombrellone si possono fare le letture più impegnate e meno attinenti al contesto proprio perché non si ha da fare un cazzo e fuori tutto è mite e temperato. Stando due mesi al mare si potrebbe leggere "Guerra e pace", credo. Ma anche cose meno lunghe e più angoscianti, invernali e noir. Come le dannazioni americane di McCarthy e Stephen King o le psicosi scandinave dei vampiri di Lasciami entrare. Fatto sta che non so quanta gente  si butti sulle letture impegnate in estate o anche negli altri periodi dell'anno. Una cosa però mi è chiara, e ovviamente non solo a me.
Tutti vogliono abbronzarsi. Non so perché, forse per dare l'impressione di scoppiare di salute. Io ad esempio vorrei cancellarmi il colorito grigino dalla faccia. Ma non a suon di fondotinta, che quando vedi quelle macchie arancioni sulle facce delle donne ti viene da ridere. No. Vorrei essere a metà tra il buio di un barcarolo di qualche isola e il rubicondo di una guida alpina. Peccato che non c'è sole in questi giorni nella Città deserta e disertata da tutti. In questo periodo è qui, non al mare, che è il caso di fare questo genere di pensieri. Poco utili e poco profondi. Visto che poi non è che ti vai a tuffare da qualche parte e lasci annegare tutto. Non dico che sia matematico (non c'è una ragione precisa), li sento solo più adeguati al contesto. A livello epidermico.



ahahah

Tuesday, July 27, 2010

we only want what's best for him

Poi, con la punta del piede, va a tastare il bastone che giace a terra inerme, ad attendere la volontà altrui-forse quella di lei.
Lo blocca con il tallone. Nell’eventualità che. Nel caso che.Se tante volte. Non si sa mai. Non sia mai. Eventualmente. Se per caso. Tante volte. Non fosse mai. Dovesse servirle. Potesse servirle. Dovrebbe essere pronta. Potrebbe essere pronta. Sarebbe pronta? Ma sì. Sarebbe pronta. Non per sé. Per gli altri? Dovrebbe essere pronta.Potrebbe? Non per sé. In sé per sé? No. Probabilmente no.Sicuramente no. Ma forse sì. Sarebbe bello.Sarebbe meglio. Deglutire. Intanto. E provare. A domandare. Lei. Una volta tanto. Qualcosa. Aprire bocca. Una volta tanto. Per prima. Una volta tanto. L’unica volta. La volta che conta. L’unica. Sperando che sia quella. Difficilmente. L’unica che conta. Sarà. Proprio quella. Alla cieca. Come i tiratori d’arco giapponesi. Bendati. Fanno centro. Lo stesso. Chissà. Dopo ore. Se crederci. Lontanamente. Sarà. Quella. Difficilmente. Non si sa mai. Non fosse mai. Tante volte. Dio solo sa. Per tutti i santi. Se mai. Dovesse essere. D’altronde. Abbiamo fatto. Abbiamo disfatto. Questo mondo. E quell’altro. Con le parole. Da sempre. Vecchie magie abbandonate. Col volto schiaffeggiato. Onde taglienti a prua e a poppa. Parla.Ti prego.


Friday, June 18, 2010

Comunicazione di servizio

In attesa dell'autorizzazione da parte dell'autore, a pubblicare una storiella non mia su questo blog, annuncio a tutti i miei lettori che, da oggi fino alla fine dei mondiali (probabilmente) scriverò sulla neonata, plurivoca, rubrica calcistica di viarigattieri: "I (ri)gatti ruzzi". Insomma, fino all'11 luglio penso che la mia già pigra attività blogghistica si sposterà lì. Se vedo che non è troppo brutto esteticamente, qui pubblicherò i titoli  dei post e i relativi link, ma per dormire sonni più tranquilli  e godere di aggiornamenti in tempo reale, cliccare anche direttamente di là.
P.S.: Anche voi, pornomaniaci delusi che incappate qui erroneamente e alzate la media delle visite, ché il calcio vi dovrebbe piacere.

Monday, May 24, 2010

L'enigma di re Salomone

Sputeresti l'anello mancante per me?

oh pesce palla
oh pesce biglia
esci dall'acqua
e ridammi mia figlia

oh pesce palla
oh pesce conchiglia
torna sulla terra
e ridammi mia figlia




E forse tutta la vita non basterà a farsela scappare, tutta la vita. A farsi scappare la vita non basterà tutta la vita. 





Saturday, May 22, 2010

Il senso del calcio nella vita dischiuso dopo l'ultima giornata di campionato, ma più che altro dopo il sogno di una notte piovosa di maggio

Più che dall'ultima giornata di campionato, o dall'esito della finale di Champions di oggi, mi sono accorta che il senso del calcio si capisce meglio attraverso una storiellina che mi sono sognata l'altra notte.
Ero nel giardino di casa della sorella di mia nonna (che non è però un'ultrà scatenata anche lei)e in piedi lì in mezzo c'era nientepopodimeno che un noto cineasta da me spudoratamente idolatrato (nonostante tenti di dissimulare questa cosa qua, c'è poco da fare, la comparsata onirica è proprio il penultimo gradino sulla via del fanatismo, prima di fargli le poste sotto casa). Il noto cineasta aveva un bambino di 5-6 anni col quale io giocavo allegramente sul pratino. Quando riuscivo finalmente a intercettare il Maestro, lo inondavo di pallosissimi complimenti sul suo ultimo film che stuzzicavano il suo snobismo non poco. Diceva che non gli faceva piacere avere tutti questi fan. Cercavo di rimediare parlandogli del suo nuovo libro in modo meno elogiativo, ma niente. Invece il bambino mi aveva preso in gran simpatia e chiedeva al padre, come all'uscita da scuola, se io non potessi andare a dormire da loro quella sera, per continuare a giocare a pallone insieme tutto il tempo. Io, per scherzo e in virtù dell'eventuale simpatia suscitata dallo scherzo, per convincere il grande cineasta ad accogliermi in casa sua, dicevo che avrei vinto tutte le partite. Ma il grande cineasta scuoteva il capo, riponendo tacitamente in quel gesto, tutte le speranze che un buon padre può nutrire nei confronti del proprio figlio. Capendo il diniego, ribattevo qualcosa come: -Certo che sono più forte io, mi sono allenata almeno vent'anni in più!-. Lui però non coglieva la mia ironia, macchè, figuriamoci se voleva ospitarmi in casa sua. Ha iniziato con la solita solfa che nello sport, come nella maggior parte delle arti in cui usi il corpo, l'età è un fattore penalizzante ecc... Come se io non avessi detto ciò proprio per ridere, dunque per giocare su un paradosso, quanto per rivendicare davvero un diritto di precedenza sul suo pargolo. Ma si sa, il ragazzo è snob, anche se non pensa di esserlo troppo.
Però il suo prendere alla lettera questa frase mi ha ricordato il senso principale del calcio, o almeno la sua economia profondamente fondata sull'ingiustizia. Non contano i sacrifici, i meriti che si acquistano con l'anzianità, la correttezza, la lungimiranza, il prendere gli appunti sul taccuino, le scaramanzie varie, la volontà d'animo, il sacrificio, il bel gioco, e tutte queste belle cose gradite a Dio che ti insegnano da piccolo. Tutte queste cose a un certo punto stanno a zero, e la verità è che la vittoria della tua squadra avversaria potrebbe arrivare sempre a sorprenderti nella notte, come uno scippo nel sonno dogmatico della terza età, come il regno dei cieli per le vergini stolte della parabola (o soprattutto per quelle sagge), perché il senso del calcio è rosicare, rosicare, rosicare, ma se invece ti va di culo, far rosicare gli altri (che  è, nonostante le apparenze, una funzione passiva del rosicare stesso). Punto. Dopodichè, il collegamento a tutti gli altri sentimenti inespressi e repressi negli altri ambiti della vita si deduce da sé,  e non c'è bisogno, come fa ad esempio un mio amico, di citare uno studio che dice che la strategia di gioco dell'Italia è il catenaccio perché storicamente è stato un paese sempre invaso da stranieri ecc... ecc... da cui questo accento sulla strategia difensiva ecc...ecc... Non c'è bisogno di altro. Ripeto, Rosicare*. That's all.**

*(Ci sono altre varianti dialettali del termine, forse di significato un po' più scurrile, come il siculo sucare e il toscano puppare, che cito ora solo per aumentare le visite su questo blog. Infatti, ho scoperto da un po' che la chiave di ricerca in assoluto più cliccata con la quale i  lettori incappano qui è il termine "troie" o "vecchie troie". Di conseguenza mi sembra doveroso fare ogni tanto dei piccoli omaggi ai miei pornomaniaci più fedeli)
**(Se sei rimasto deluso da questo senso così misero che ho proposto, posso rivelarti un altro dei segreti che il noto cineasta mi ha svelato in sogno. Ha detto che lui per alti meriti artistici è riuscito ad addentrarsi dove qualunque cronista sportivo è costretto, nonostante le brame, ad arrestarsi: è entrato nello spogliatoio e ha toccato con mano e filmato, la tecnica motivazionale con cui M. farà vincere ai suoi la finale di stasera: 



)

Sunday, May 09, 2010

Il senso del calcio nella vita. La storia.

Da non appassionata di calcio, anzi da recente appassionata di calcio, anzi da recente appassionata di calcio ormai quasi disamorata (o che si disamorerà definitivamente quando l'italia uscirà dal mondiale, cioè ai gironi), posso dire solo una cosa: il calcio non ha alcun senso. Ma è anche vero che un po' mi sono appassionata alla faccenda e, non potendomi più ritenere del tutto estranea alle calcistiche sorti delle umane genti, la domanda su che senso abbia questa cosa me la sono dovuta porre. Una volta appurato che le prodezze atletiche che compiono le ventidue persone sparpagliate sul campo non siano poi il fulcro di tutto l'interesse che questa faccenda è in grado di suscitare non solo in me, ma nei milioni di persone che, giorno per giorno, dedicano gran parte del proprio tempo libero a fare pronostici sull'andamento del campionato,o a cercare di divinare le strategie che si celano dietro alle sibilline uscite di mourinho, o a tirare a indovinare il motivo dell'insanabile lacerazione cassano-lippi, ho come la sensazione di trovarmi di fronte a un grande enigma, forse poco o forse troppo esplorato per poter essere stato già veramente sciolto. Con questo non intendo dire che io ci riuscirò, perché non ci riuscirò, è chiaro.
La prima cosa che associo al calcio è la paura: ricordo urla deformate in boati dalla mia sempreviva memoria post-traumatica. Erano i miei nonni che esultavano per i goal. Siccome sono nata poche settimane prima dei gloriosi mondiali dell'82, la stessa memoria deformante mi suggerisce che fossero urla legate ai goal della nazionale, che devono aver rovinato per sempre la mia placida,irriflessa, quiete neonatale. Ma diciamo che questa è la versione romanzata della storia. Le urla di cui sono veramente sicura risalgono sicuramente a qualche anno più tardi e saranno state legate alle prodezze della roma, di cui i miei nonni erano tifosi sfegatati. (Mia nonna tuttora. Mia nonna come regolatore esterno dell'umore si è scelta totti, e nei momenti di massimo fervore questo regolatore esterno diventa direttamentente il ginocchio di totti, che se ci pensate bene è anche ciò da cui dipende tutto il resto, per un romanista serio. Mia nonna addirittura qualche anno fa ha fatto un riposino pomeridiano e quando si è svegliata, con un sorrisetto svagato da adolescente, mi ha raccontato che aveva appena sognato di essere pesantemente corteggiata da spalletti. Mia nonna infatti adesso è a pezzi per la finale di coppa italia, non solo per il risultato ovviamente, ma perchè il suo eroe è caduto, anche se in realtà non è proprio caduto, ha mostrato semplicemente l'irreprimibile istinto da borgataro che aveva imparato con gli anni a camuffare, ed è caduto non lui, ma l'immagine idealizzata che tutti, compresa mia nonna, si erano sforzati di cucirgli addosso. E va beh. Capita questo e altro). Comunque pare che ogni volta che urlassero per festeggiare i goal, io mi mettessi a piangere, non capendo il sottile ma istantaneo passaggio dalla calma piatta a quell'animosità repentina un po' sguaiata. Nonostante dunque la mia idea di tifoseria sia nata sotto una cattiva stella, alle elementari dichiaravo di tifare la roma. Scelta svantaggiosissima, visto che il mondo a quei tempi, al centro nord, si divideva in bianconero e in rossonero. Mi pigliavano tutti così per il culo e questa roma, a loro detta, vinceva talmente poco che ben presto, prima che iniziasse a diventare per me un vero e proprio handicap sociale, la feci sprofondare senza troppi ragionamenti nel mio dimenticatoio. E scelsi la via più facile. Cambiai squadra.Iniziai a tifare per la New Team.
Mai vi fu investimento emotivo più serio di questo: nessuna squadra, si sa, nella storia del calcio e nella storia di tutti gli sport di squadra, è mai stata in grado di regalare al suo pubblico momenti di pathos estremo così indissolubilemente legati alla certezza della vittoria. Mai. Con mia cugina seguivamo Holly e Benji con una passione che non ho mai più avuto per nessun programma televisivo in seguito. (Gran cazzata. Mi sa che qualche anno dopo Beverly Hills si aggiudicò la palma d'oro del decennio, nella classifica televisiva del mio cuore. Per fortuna però non parlava di calcio. Ma questa parentesi televisiva non ha alcun senso perchè Holly e Benji non era una cosa televisiva era una fede ed era vita vera al punto che).Con mia cugina provammo e riprovammo a fare la catapulta infernale dei fratelli Derrick in un pomeriggio domenicale in cui io rischiai di rompermi una costola. Perchè chiaramente dovevo interpretare il gemello più sfigato che si stende a terra e dà la spinta all'altro per farlo saltare fino a toccare il sole con un dito, fare una quadruplo salto mortale, saltare sulla traversa, da lì fare una rovesciata e poi, GOAL! Solo che mia cugina mi cadeva addosso molto prima. Ma in generale lei era una forza della natura, lei scartava quattro energumeni maschi alla volta giù in cortile, nonostante questi la sovrastassero in altezza. Una vera e propria messi ante litteram, ché ormai siamo arrivate a un'età in cui siamo più grandi di parecchi calciatori (cosa che inizio a trovare inquietante). Quando giocavamo assieme, quando cioè si prodigava a darmi una lezione per mantenere alto l'onore della famiglia, lei interpretava sempre Holly e io non volevo mai fare Benji, tanto non gliene paravo una, allora volevo essere Tom Becker, colui che fornisce la maggior parte degli assist a Holly, ma lei non mi dava il permesso di essere Tom perché aveva capito che ci tenevo troppo ad essere ALMENO Tom e scuoteva il capo. Allora io le proponevo di giocare contro di lei in qualità di Mark Lenders, per perdere ma con onore. Solo che questa idea era ancora peggiore della precedente, perchè io a sei anni tutto potevo evocare tranne la potenza fisica di Lenders. Infatti ricordo un giorno che lei (che pure è più piccola di me di un po' di mesi, quei mesi che fanno la differenza quando sei piccolo), senza neanche dichiarare esplicitamente quanto mi ritenesse inadatta al ruolo disse solo due parole, decisive: tu fai Bruce.



(questa non è neanche la fine della storia a dire il vero. ma per parlare del senso aspettiamo almeno la fine del campionato)

Thursday, April 29, 2010

per te blogger, o lettore di blog egualmente affetto da disturbo borderline di personalità

1) Ti scrivo in punti per essere più veloce. so che stai fremendo per leggere o ascoltare altro.
2) Questa potrebbe essere l'ennesima volta che chiudo il blog.
3) Questa potrebbe essere l'ennesima volta che lo riapro dopo aver pensato di chiudere definitivamente.
4) La dipendenza è una brutta bestia. E' un via vai.
5) La droga è una brutta bestia.
6) Sto cercando di smettere di fumare. Non so se ci sono riuscita.
7) Ma al punto n°4 intendevo la dipendenza da internet. Stamattina infatti ho visto questo disegno su un volantino. (beh, non ho visto proprio questo. questo è un mio goffo tentativo di riprodurlo con paint, il programma di grafica all'avanguardia di windows che tutti conoscerete)
8) Ma l'affermarsi di espressioni come "piuttosto che" al posto di "o" (disgiunzione) e di "la qualunque" al posto di "qualunque cosa", non è preoccupante?
9) Sì.
10) Ho instaurato un bellissimo rapporto di fiducia e stima reciproca con la cassiera (credo anche proprietaria) di un bar che frequento un paio di volte a settimana. Non faccio mai lo scontrino prima di ordinare il caffè, poi una volta che me lo hanno versato in tazza prendo il tutto e mi siedo su un tavolino munito di comoda poltrona e di pila di quotidiani freschi di giornata. Dopo anni, sono ancora ignara se sia previsto un sovrapprezzo per il servizio al tavolo. Comunque bevo, leggo e sfoglio e poi riporto educatamente la tazzina al bancone perché mi hanno insegnato ad aiutare a sparecchiare, mi volto sempre verso la cassa e non c'è nessuno. Ogni volta penso (e sono sicura) che me ne potrei tranquillamente andare via senza pagare e senza che nessuno se ne accorga mai, ma ogni volta sto in piedi ad aspettare l'arrivo della padrona-cassiera (che tra l'altro accorre solo perchè vede me che l'attendo). E niente, spesso mi sorride perchè si fida del fatto che non le ruberò mai i suoi 70 centesimi. E io penso che per questo non mi rompa le scatole che mi siedo, e che leggo tutti i giornali contemporaneamente (ultimamente persino il corriere dello sport) nonostante la cosa sia prepotente nei confronti degli altri clienti. Magari alla fine è buona così con tutti. Ciò che mi induce a non pensarlo è che sembra un bar piuttosto elegante, da dentro.
11) Il numero di questi punti elencati non ha alcun significato. Il numero delle cose che ho da dire e quello delle numerose, restanti cose che non ho da dire, è stato deciso dal caso.
12) Tuttavia eviterò di finire con il 13 e il 17 che si dice portino sfiga.
13) LW diceva che la superstizione è la credenza nel nesso di causalità.
14) Con questo trucchetto dell'elenco numerato però, questo post è più lungo degli altri. Poco rispettoso della mania di cambiar sito ogni secondo che hai tu, caro utente, o al contrario molto liberale nei confronti proprio di questa tendenza. Per noncuranza, a seconda dei punti di vista
15) Non so perché mi pare che oggi tutti ci tengano a parlare di merda. Non di cose schifose o di bassa qualità, ma di merda proprio, quella vera. Ad esempio sulla Repubblica di oggi c'è la recensione di un libro intitolato "Il grande bisogno. Perché non dobbiamo sottovalutare l'ultimo tabù: la nostra ca**a", di Rose George (asterischi non miei). Sarà sicuramente un interessante studio socio-antropologico, ma non mi fa certo venire voglia di leggerlo o di comprarlo. C'è un motivo se i tabù sono tabù e se il rimosso è stato rimosso.
16) In compenso ho comprato qualche giorno fa il nuovo libro di Paolo Sorrentino e devo dire che non ho ancora capito se è bello o brutto, ma che a parte questo, ci sono riferimenti sorprendentemente frequenti all'attività di defecazione dei personaggi, e che questa caratteristica non sarà determinante ma diciamo che nemmeno lo impreziosisce, 'sto cazzo di romanzo, anzi. Lo dico da fan sfegatata dei suoi film, in ogni caso.
17) Nell'attributo "essere fan sfegatata di" si celano probablimente tutti gli errori degli acquisti troppo affrettati.
18) Infine: Cosa c'è di meglio di una bella canzone commerciale ogni tanto, per autoinfondersi buoni sentimenti? Una canzone così, senza alcuna pretesa oltre la vendita, che si piazza naturalmente in cima alla classifica e in fondo alla giornata come la luce in fondo al tunnel per un ferito grave, o il McDonald's in fondo all'autostrada per un bambino annoiato dal viaggio. Piaceri che io non sottovaluterei, ecco
19) Piaceri che sopravvaluterei (e che avevo sopravvalutato). Volevo postare una canzone dei Coldplay, lo giuro, ma non ce l'ho fatta, perché alla fine oggi la beatitudine l'ho provata ascoltando questa:




(fuor di elenco o di metafora. non scriverò più cose serie qua sopra. è sicuro)

Friday, April 02, 2010

In cambio di un misero pasto al giorno





Nel luogo detto "del cranio". Un pomeriggio d'aprile. Discesa finita.

Saturday, March 20, 2010

Incontro con la Storia

Stavo tornando a casa poco fa. La nuova casa, senza dare informazioni più dettagliate di così, si trova molto, molto vicino, al luogo dove il Capo dei Capi ha fatto questo pomeriggio il suo ultimo comizio. Purtroppo ho mancato l'occasione di vederlo dal vivo, per la troppa folla accalcatasi in piazza. Forse solo una vaga immagine, di sfuggita sul maxischermo, mentre piovevano, addosso a lui e ai suoi, macroscopici coriandoli bianchi, simbolo di una ritrovata purezza di cuore e di mente, in questo carnevale quaresimale preelettorale che ha preceduto d'un soffio l'ingresso ufficiale nella primavera. Dico la verità, avrei voluto vederLo e sentirLo meglio. Giunti a questo punto della storia, la curiosità prevale sul disgusto. Ma ho fatto in tempo a ricevere da Lui solo un bacio di congedo da vecchio zio di secondo grado. Di quelli che vedi una volta l'anno e, quando hai meno di diciotto anni, ti allungano un pezzo da cinquantamila lire di soppiatto. Mi chiedo come mai Lui abbia voluto a tal punto deviare da questo ruolo, nel quale l'avrei visto più che bene. Sarebbe stato Lo Zio più Munifico d'Italia. Altro che cinquantamila lire a nipote.
Comunque ho mentito. Non è vero che ormai la mia curiosità prevale sul disgusto. Trovandomi in mezzo a quella folla e avendo letto sulla T-shirt di un passante una frase come "Meglio chiavatore un giorno che Luxuria una vita", non ho potuto che provarlo, e con rinnovata veemenza, quel mio caro, vecchio disgusto di sempre, amabile compagno di tutti i salotti televisivi su cui ho puntato lo sguardo negli ultimi anni. Non sapevo che fare, camminavo controcorrente per cercare di raggiungere casa, ma non mi sembrava un gesto abbastanza controcorrente, vista la piazza e le strade circostanti piene in modo imparagonabile rispetto a quelle viste nel corso delle più recenti manifestazioni sinistrorse. Avevo una sciarpa arancione che non mi sembrava abbastanza rappresentativa del mio dissenso. Ho rimpianto, in quel momento, di aver regalato la mia kefiah rossa del liceo, ormai dismessa da anni, al mio fratellino. Mi riecheggiava nella testa l'epico (per me, allora) "Seems like yesterday we were sixteen/We were the rebels of the rebel scene" dei Cranberries, sarei voluta tornare indietro ai tempi in cui lo canticchiavo perfettamente calata nella parte. Poi ho incrociato due giovanissimi manifestanti con la kefiah glamour di tutti i colori e gli scacchi grossi che va tanto di moda adesso e non ho potuto più neanche rimpiangere di non avere la mia. Per quel che sarebbe valsa, in questo caos primigenio, lontano dagli occhi di Atena e d'un qualunque altro Dio. In extremis ho pensato che avrei potuto lanciare occhiate estremamente sprezzanti a tutti i volti e i corpi sbandieranti in cui mi imbattevo. Praticamente, visto l'afflusso di gente, dovevo tenere tutto il tempo i muscoli del viso contratti in una smorfia acrobatica tra il rimprovero e il conato di vomito, un disgusto severo, di quelli che annichiliscono un esaminando tentennante. Non è stato difficile, visto che il glorioso "Meno male che..." veniva ripetuto ad libitum senza sfumare nei toni, senza lasciar presagire alcuna fine, leggibile e imperante com'era financo attraverso il labiale dei nutriti gruppi di ultrà convenuti per l'evento da tutta Italia. Poi un tizio con la faccetta e la camicetta nera mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha dato una pacca, a un certo punto. Mi guardava con un po' di preoccupazione. Sei stanca, eh? mi ha chiesto, con la faccia furba di chi si compiace di aver indovinato tutto. Ho provato a mantenere quel mio studiatissimo sguardo fulminante, ma poi ho scosso mestamente il capo e mi sono diretta più decisamente a casa, badando a urtare volontariamente chiunque mi passasse a tiro ma facendo finta di far per sbaglio, in quella fretta confusa e realissima, carica d'onta per la battaglia perduta. Dovevo sembrare autistica.

Monday, March 08, 2010

Felicità raggiunta, si cammina





"Nella taverna non c'è tanta gioia, quanta ce n'è sulla strada che ad essa porta".

Sunday, March 07, 2010

We will meet again

non so quando, non so dove, in un giorno di sole. sotto la muraglia che copre la stazione dei carabinieri, in una notte. in un'isola con un grande penitenziario dalla quale non si esce mai vivi. come ventotene ad esempio, o come SHUTTER ISLAND. i miei AMABILI RESTI ancora a galla, il cibo che mi hai donato divenuto carne, divenuta tempo. tempo di nascere, tempo di morire, tempo di piantagioni e di semina per la mia ANIMA INVINCIBILE. (o invitta, ma non sono nelson mandela, non sono clint eastwood). tempo di stagioni. tempo di cambio di stagione. qualche precipitazione in eccesso. qualche anno in eccesso. strade poco battute.




"La carne è triste, ahimé! E ho letto tutti i libri"


(S. Mallarmé)

domenica, mare, ritorno, dolore, nostalgia, navi, salpare

Tuesday, March 02, 2010

Non una maledizione per le vecchie scene, i vecchi volti



"Spiritualmente un anno di profondo squallore e indigenza fino a quella memorabile notte di marzo, in fondo al molo, nel vento che urlava, non la scorderò mai, quando tutto mi è stato chiaro.
La visione, finalmente".



Friday, February 12, 2010

primavera estate autunno e ancora primavera

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani









rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate

Tuesday, February 09, 2010

Dirty dream n°2

ti ho detto se mi aiuti a diventare medico. un medico bravo come te in grado di salvare il mondo.
tu dai per scontato di sì ché neanche mi rispondi e sperando di non sbagliarmi lo prendo per un silenzio assenso.
mi ritrovo già addosso il camice verde da chirurgo dobbiamo operare qualcuno tu mi farai vedere come si fa e volendo l'operazione la farai fare a me con la tua mente che guida.
così mi preparo mi disinfetto le mani faccio quello che ci vuole per l'occasione guardo la finestra perchè c'è cattivo tempo gli alberi ululano ma bisogna tenere conto che il lupo è fratello del cane il cane il migliore amico dell'uomo e questa pioggia imminente non ci toglierà la concentrazione dagli occhi lo giuro.
non come in macchina la sorpresa di notte su una strada sterrata animali selvatici percossi dai fari ignari di noi noi consci di loro impauriti curiosi freniamo attraversano ma tu volevi aprirgli lo sportello.
e mentre guardo fuori la finestra il suo tempo il camice diventa lenzuolo il suolo un letto per il giorno già acceso mi ritrovo col corpo disteso hai deciso di farmi operare qualcuno si appresta di colpo alla disinfezione del mio volto il braccio pronto e l'anestesia non arriva mai, ma se ci tieni tanto puoi baciarmi ogni volta che vuoi.



Wednesday, February 03, 2010

Smisurata preghiera

come una svista
come un'anomalia
come la sfortuna

Friday, January 29, 2010

melanie klein



Ho festeggiato il giorno della dipendenza. Fumando delle sigarette e bevendo delle birre, e tornando col pensiero al latte e al ghiaccio che mi propinavano da piccola, nei bar di pianura. Frequentati dagli sciatori stanchi, come me.
Ho pensato anche a quella barista anziana che tanti anni fa, quando nevicava nella mia città, ci consigliava di bere bicchieri di zucchero e neve. Era molto entusiasta quando ce lo consigliava. Si vedeva che ci superava con gli occhi, e andava con lo sguardo della mente alle facce dei suoi figli da bambini. E in cuor suo rideva, e con quello sguardo li allattava ancora.
Ho festeggiato anche sentendomi a disagio nel letto, da sola, in compagnia solo di un secondo cuscino. Senza uno straccio di orsetto o di cane bifronte, ad aiutarmi a traghettare i pensieri nell'aldilà. Ho spalancato gli occhi nella notte e li ho lasciati un poco lì così. A popolare di spettri quel risveglio precoce.
Dice che mille fantasmi o il peggiore dei demoni non facciano paura quanto un'assenza. Se questa è reale. Credo intenda questo.
E poi non fa altro che interrogarmi. Vuole sapere svariate cose. Vuole sapere un sacco di cose. Vuole sapere tutto. Su mia madre. Melanie Klein.
Mi si dice altrove che non ha resistito ai miei attacchi. Che era una nave sull'orlo del naufragio. A volte. Come Rimbaud quando scendeva dai fiumi impassibili e cantava "il mio cuore sbava a poppa". Disteso su una solitaria vie en noir.
Così, quando la nave si è quasi ribaltata ho deciso anch'io di ritirarmi a vita ritirata.
E nel giorno della dipendenza ho accettato tutto, le caramelle dagli sconosciuti e la droga dagli amici che si drogano. E per farlo non ho certo aspettato nessuno. Ci tenevo a festeggiare il giorno della dipendenza. Ci tenevo più che al Natale dai nonni. Ci tenevo a festeggiarlo con grande distacco. Sola.
Ma dice Melanie Klein che quel giorno, quando arriva, la platea è mezza piena. Alcuni sono eleganti, altri molto meno. E se ne stanno tutti lì, aggrappati alla cornice senza sforzo. Sospesi grazie alla forza d'incredulità. Che bussa un pomeriggio domenicale, a svezzamento finito, e li mette a guardare. Le mie brame allo specchio.

Wednesday, January 20, 2010

il punto in cui ci siamo inabissati




A volte vorrei scomparire.
Altre volte sogno di possedere una barchetta fatta col guscio di una noce. E di vivere lì. lo sogno fin da piccola.
Se non si vivono più di ventiquattro ore al giorno, lo scorrere del tempo cessa di esistere, e con esso quella idea di morte che ci accompagna quando consideriamo la vita come l'avanzare di una storia che non si conclude col giorno che finisce. C'è in tutte le storie, o in tutte le storie fatte male, un presagio di non fine. Ma la continuazione della fine di una storia, se una fine della storia esistesse, sarebbe la storia di un declino, il declino dell'eroe, e questo declino, una nuova storia.
Solo lì dove il giorno è fermo, nell'arco teso tra l'alba e il tramonto, non c'è storia: solo in quella curva di noce che fende il mare l'istante della fine non è diverso dagli altri, e ogni istante è la fine. Il blu della notte si posa sul volto del giorno, che trema da ore. Ma senza la rabbia abbattuta di chi teme il dolore, o la gelosia feroce dei confini del corpo.