Friday, January 29, 2010

melanie klein



Ho festeggiato il giorno della dipendenza. Fumando delle sigarette e bevendo delle birre, e tornando col pensiero al latte e al ghiaccio che mi propinavano da piccola, nei bar di pianura. Frequentati dagli sciatori stanchi, come me.
Ho pensato anche a quella barista anziana che tanti anni fa, quando nevicava nella mia città, ci consigliava di bere bicchieri di zucchero e neve. Era molto entusiasta quando ce lo consigliava. Si vedeva che ci superava con gli occhi, e andava con lo sguardo della mente alle facce dei suoi figli da bambini. E in cuor suo rideva, e con quello sguardo li allattava ancora.
Ho festeggiato anche sentendomi a disagio nel letto, da sola, in compagnia solo di un secondo cuscino. Senza uno straccio di orsetto o di cane bifronte, ad aiutarmi a traghettare i pensieri nell'aldilà. Ho spalancato gli occhi nella notte e li ho lasciati un poco lì così. A popolare di spettri quel risveglio precoce.
Dice che mille fantasmi o il peggiore dei demoni non facciano paura quanto un'assenza. Se questa è reale. Credo intenda questo.
E poi non fa altro che interrogarmi. Vuole sapere svariate cose. Vuole sapere un sacco di cose. Vuole sapere tutto. Su mia madre. Melanie Klein.
Mi si dice altrove che non ha resistito ai miei attacchi. Che era una nave sull'orlo del naufragio. A volte. Come Rimbaud quando scendeva dai fiumi impassibili e cantava "il mio cuore sbava a poppa". Disteso su una solitaria vie en noir.
Così, quando la nave si è quasi ribaltata ho deciso anch'io di ritirarmi a vita ritirata.
E nel giorno della dipendenza ho accettato tutto, le caramelle dagli sconosciuti e la droga dagli amici che si drogano. E per farlo non ho certo aspettato nessuno. Ci tenevo a festeggiare il giorno della dipendenza. Ci tenevo più che al Natale dai nonni. Ci tenevo a festeggiarlo con grande distacco. Sola.
Ma dice Melanie Klein che quel giorno, quando arriva, la platea è mezza piena. Alcuni sono eleganti, altri molto meno. E se ne stanno tutti lì, aggrappati alla cornice senza sforzo. Sospesi grazie alla forza d'incredulità. Che bussa un pomeriggio domenicale, a svezzamento finito, e li mette a guardare. Le mie brame allo specchio.

Wednesday, January 20, 2010

il punto in cui ci siamo inabissati




A volte vorrei scomparire.
Altre volte sogno di possedere una barchetta fatta col guscio di una noce. E di vivere lì. lo sogno fin da piccola.
Se non si vivono più di ventiquattro ore al giorno, lo scorrere del tempo cessa di esistere, e con esso quella idea di morte che ci accompagna quando consideriamo la vita come l'avanzare di una storia che non si conclude col giorno che finisce. C'è in tutte le storie, o in tutte le storie fatte male, un presagio di non fine. Ma la continuazione della fine di una storia, se una fine della storia esistesse, sarebbe la storia di un declino, il declino dell'eroe, e questo declino, una nuova storia.
Solo lì dove il giorno è fermo, nell'arco teso tra l'alba e il tramonto, non c'è storia: solo in quella curva di noce che fende il mare l'istante della fine non è diverso dagli altri, e ogni istante è la fine. Il blu della notte si posa sul volto del giorno, che trema da ore. Ma senza la rabbia abbattuta di chi teme il dolore, o la gelosia feroce dei confini del corpo.