Monday, December 15, 2008

poi un'altra giornata di luce

si avviava a tasche vuote, era rimasto a mani vuote, a testa alta e col pensiero altero, senza neanche un soldo di sfiducia, e la ferocia era un sentimento caduto in disuso, da tempo.


e fu la notte, la notte per noi.


e l'umidità della notte era generosa a dicembre, era pioggia tutto il giorno e tutta la notte, ed era generosa come a natale.

cadono i regali a catinelle.


ma il cielo è tutto rosso di nuvole barocche, sul fiume che si sciacqua sotto l'ultimo sole.


in vita mia avevo assistito solo a un'altra piena, quella dell'arno, tanti anni fa. ero uscita a contemplarla, facendo un'uscita molto più breve, cioè un tratto di strada molto più breve, che infatti richiede un racconto molto più breve di quello che richiederebbe. (la mia roma divorata dai fucili spianati).

io non provavo altro che il terrore meraviglioso della preistoria.


coi piedi appesi all'aria, dalle banchine, sul ponte ingoiato dai flutti, e le spalle contro una caverna piuttosto giovane, geologicamente parlando.


l'inondazione di oggi invece è sacrilega e senza pace, perché non seppellisce e non sotterra niente.


tutto a galla, per annientare l'archeologia, in futuro,

per esser certi che in futuro non avremo più nulla da scavare.

perchè la terra torni piatta come nel medioevo.

e sia data fine a questa eresia.

e andare finalmente alla deriva, allontanare l'america e guardarla con disprezzo, una volta caduti, e odiare colombo, e la geodesia.

Monday, December 01, 2008

2008 was a bad year

Io penso che quest’anno sia un brutto anno, sinceramente.
L’imperversante dominio di internet, le pubblicità in televisione che pubblicizzano internet e le chiavette da attaccare al pc per collegarti ovunque e in ogni momento, tutto questo solo perché la televisione sa di essere sulla via dell’estinzione e di impallidire giorno per giorno disarcionata dal cavallo dell’interattività, io che ci sguazzo perché non mi va di pensare a quello che vivo ogni giorno, l’implosione di facebook a macchia d’olio nella nostra vita interiore, la vittoria di obama e la spettacolarizzazione della sua ascesa al potere, la spettacolarizzazione e non l’uomo come spettro della rovina del mondo in cui viviamo, dire: “obama è il leader più adatto a guidare l’america nella transizione verso la perdita dell’egemonia”, “trecentomila persone hanno spedito il loro curriculum alla casa bianca per lavorare con obama”, il terrore inguaribile e presago della fine del mondo incastonato nella nevrosi dell’ansia messianica, incastrato nella speranza come si incastravano i bambini a messa, un tempo, nel vestito bianco della domenica, la mia difficoltà a convivere con le cancellature mentre scrivo su un foglio in brutta, la dipendenza dalle radiazioni e dai copia&incolla e il segreto amore per la tossicità, l’attentato a mumbai, luxuria come obama, la vittoria morale della sinistra con l’isola dei famosi secondo sansonetti, la barba lunga e brizzolata di sinistra di sansonetti nei peggiori salotti televisivi d’italia, l’attentato a mumbai, il fatto che non esisti più, l’attentato a bombay, il fatto che scrivo pensando di avere un blog altrimenti non lo faccio, la sovraesposizione, la crisi economica, la difficoltà di lavorare e trovare un lavoro, il fatto che tutto potrebbe essere riassunto nella frase “il futuro non è più quello di una volta” come lessi con gf su un muro di roma e ci sembrò geniale e innovativo, come poi scoprii che era una frase in un certo senso già nota e vecchia partita da milano, il fatto che in ogni caso sintetizzi tutto, non solo quello che riguarda il futuro lavorativo ma il futuro con la effe maiuscola come piacerebbe dire all’immaginario popolare più privo di fantasia e di astrazione, questi periodi così lunghi che sono una moda postmoderna tramontata o che sarebbe dovuta finire da un pezzo perché non impressiona più e perché tende troppo alla sgrammaticatura per non pretendere dell’insano virtuosismo per sé.
Soprattutto, sono un po’ stanca dei sabati sera, e sono un po’ stanca di parlare di crisi.
Sono stanca del valore metafisico del sabato in Italia, e del lessico frammentato della mia generazione, e di quello finto-unitario dei mie padri.
Sono stanca che ogni gesto abbia una risonanza globale, mentre il mio corpo diventa inconoscibile.
Di vivere in una rete che si dirama all'infinito, nel sentiero dei nidi di ragno.
Di avere un corpo che diventa sconosciuto.
Di avere un corpo che diventa troppo grande.