v. aveva sempre indosso magliette delle mie tonalità di blu preferite. penso di aver tardato ad abbandonarlo col pensiero, nonostante le sempre più frequenti collisioni di quest’ultimo con la realtà del suo ambiguo diniego, perchè non mi era mai capitato prima di assistere a una simile incarnazione delle mie fantasticherie collegiali.
quella da lui vestita, dal capo alle scarpe, dal terreno da esse battuto al paesaggio che ne componeva l’orizzonte, era l’uniforme che avevo dato anni prima al breve senso di soffocamento crepuscolare che mi coglieva la sera. non riuscivo a sopportare il cielo che s’arrossa sempre più e poi schiarisce e poi s’adombra ancora, senza pensare di condividere la visione di questo passaggio con qualcuno. avevo bisogno di un’immagine umana dolce e un po’ triste che potesse contenere tutto questo, qualcuno al cui profilo queste tinte –a differenza mia- fossero connaturate. occhio nordico, sorriso latino, naso greco, voce asiatica, sommessa, mani da pianista boemo, magrezza africana, capello alla beatles, occhiali alla woody allen.