Monday, May 24, 2010

L'enigma di re Salomone

Sputeresti l'anello mancante per me?

oh pesce palla
oh pesce biglia
esci dall'acqua
e ridammi mia figlia

oh pesce palla
oh pesce conchiglia
torna sulla terra
e ridammi mia figlia




E forse tutta la vita non basterà a farsela scappare, tutta la vita. A farsi scappare la vita non basterà tutta la vita. 





Saturday, May 22, 2010

Il senso del calcio nella vita dischiuso dopo l'ultima giornata di campionato, ma più che altro dopo il sogno di una notte piovosa di maggio

Più che dall'ultima giornata di campionato, o dall'esito della finale di Champions di oggi, mi sono accorta che il senso del calcio si capisce meglio attraverso una storiellina che mi sono sognata l'altra notte.
Ero nel giardino di casa della sorella di mia nonna (che non è però un'ultrà scatenata anche lei)e in piedi lì in mezzo c'era nientepopodimeno che un noto cineasta da me spudoratamente idolatrato (nonostante tenti di dissimulare questa cosa qua, c'è poco da fare, la comparsata onirica è proprio il penultimo gradino sulla via del fanatismo, prima di fargli le poste sotto casa). Il noto cineasta aveva un bambino di 5-6 anni col quale io giocavo allegramente sul pratino. Quando riuscivo finalmente a intercettare il Maestro, lo inondavo di pallosissimi complimenti sul suo ultimo film che stuzzicavano il suo snobismo non poco. Diceva che non gli faceva piacere avere tutti questi fan. Cercavo di rimediare parlandogli del suo nuovo libro in modo meno elogiativo, ma niente. Invece il bambino mi aveva preso in gran simpatia e chiedeva al padre, come all'uscita da scuola, se io non potessi andare a dormire da loro quella sera, per continuare a giocare a pallone insieme tutto il tempo. Io, per scherzo e in virtù dell'eventuale simpatia suscitata dallo scherzo, per convincere il grande cineasta ad accogliermi in casa sua, dicevo che avrei vinto tutte le partite. Ma il grande cineasta scuoteva il capo, riponendo tacitamente in quel gesto, tutte le speranze che un buon padre può nutrire nei confronti del proprio figlio. Capendo il diniego, ribattevo qualcosa come: -Certo che sono più forte io, mi sono allenata almeno vent'anni in più!-. Lui però non coglieva la mia ironia, macchè, figuriamoci se voleva ospitarmi in casa sua. Ha iniziato con la solita solfa che nello sport, come nella maggior parte delle arti in cui usi il corpo, l'età è un fattore penalizzante ecc... Come se io non avessi detto ciò proprio per ridere, dunque per giocare su un paradosso, quanto per rivendicare davvero un diritto di precedenza sul suo pargolo. Ma si sa, il ragazzo è snob, anche se non pensa di esserlo troppo.
Però il suo prendere alla lettera questa frase mi ha ricordato il senso principale del calcio, o almeno la sua economia profondamente fondata sull'ingiustizia. Non contano i sacrifici, i meriti che si acquistano con l'anzianità, la correttezza, la lungimiranza, il prendere gli appunti sul taccuino, le scaramanzie varie, la volontà d'animo, il sacrificio, il bel gioco, e tutte queste belle cose gradite a Dio che ti insegnano da piccolo. Tutte queste cose a un certo punto stanno a zero, e la verità è che la vittoria della tua squadra avversaria potrebbe arrivare sempre a sorprenderti nella notte, come uno scippo nel sonno dogmatico della terza età, come il regno dei cieli per le vergini stolte della parabola (o soprattutto per quelle sagge), perché il senso del calcio è rosicare, rosicare, rosicare, ma se invece ti va di culo, far rosicare gli altri (che  è, nonostante le apparenze, una funzione passiva del rosicare stesso). Punto. Dopodichè, il collegamento a tutti gli altri sentimenti inespressi e repressi negli altri ambiti della vita si deduce da sé,  e non c'è bisogno, come fa ad esempio un mio amico, di citare uno studio che dice che la strategia di gioco dell'Italia è il catenaccio perché storicamente è stato un paese sempre invaso da stranieri ecc... ecc... da cui questo accento sulla strategia difensiva ecc...ecc... Non c'è bisogno di altro. Ripeto, Rosicare*. That's all.**

*(Ci sono altre varianti dialettali del termine, forse di significato un po' più scurrile, come il siculo sucare e il toscano puppare, che cito ora solo per aumentare le visite su questo blog. Infatti, ho scoperto da un po' che la chiave di ricerca in assoluto più cliccata con la quale i  lettori incappano qui è il termine "troie" o "vecchie troie". Di conseguenza mi sembra doveroso fare ogni tanto dei piccoli omaggi ai miei pornomaniaci più fedeli)
**(Se sei rimasto deluso da questo senso così misero che ho proposto, posso rivelarti un altro dei segreti che il noto cineasta mi ha svelato in sogno. Ha detto che lui per alti meriti artistici è riuscito ad addentrarsi dove qualunque cronista sportivo è costretto, nonostante le brame, ad arrestarsi: è entrato nello spogliatoio e ha toccato con mano e filmato, la tecnica motivazionale con cui M. farà vincere ai suoi la finale di stasera: 



)

Sunday, May 09, 2010

Il senso del calcio nella vita. La storia.

Da non appassionata di calcio, anzi da recente appassionata di calcio, anzi da recente appassionata di calcio ormai quasi disamorata (o che si disamorerà definitivamente quando l'italia uscirà dal mondiale, cioè ai gironi), posso dire solo una cosa: il calcio non ha alcun senso. Ma è anche vero che un po' mi sono appassionata alla faccenda e, non potendomi più ritenere del tutto estranea alle calcistiche sorti delle umane genti, la domanda su che senso abbia questa cosa me la sono dovuta porre. Una volta appurato che le prodezze atletiche che compiono le ventidue persone sparpagliate sul campo non siano poi il fulcro di tutto l'interesse che questa faccenda è in grado di suscitare non solo in me, ma nei milioni di persone che, giorno per giorno, dedicano gran parte del proprio tempo libero a fare pronostici sull'andamento del campionato,o a cercare di divinare le strategie che si celano dietro alle sibilline uscite di mourinho, o a tirare a indovinare il motivo dell'insanabile lacerazione cassano-lippi, ho come la sensazione di trovarmi di fronte a un grande enigma, forse poco o forse troppo esplorato per poter essere stato già veramente sciolto. Con questo non intendo dire che io ci riuscirò, perché non ci riuscirò, è chiaro.
La prima cosa che associo al calcio è la paura: ricordo urla deformate in boati dalla mia sempreviva memoria post-traumatica. Erano i miei nonni che esultavano per i goal. Siccome sono nata poche settimane prima dei gloriosi mondiali dell'82, la stessa memoria deformante mi suggerisce che fossero urla legate ai goal della nazionale, che devono aver rovinato per sempre la mia placida,irriflessa, quiete neonatale. Ma diciamo che questa è la versione romanzata della storia. Le urla di cui sono veramente sicura risalgono sicuramente a qualche anno più tardi e saranno state legate alle prodezze della roma, di cui i miei nonni erano tifosi sfegatati. (Mia nonna tuttora. Mia nonna come regolatore esterno dell'umore si è scelta totti, e nei momenti di massimo fervore questo regolatore esterno diventa direttamentente il ginocchio di totti, che se ci pensate bene è anche ciò da cui dipende tutto il resto, per un romanista serio. Mia nonna addirittura qualche anno fa ha fatto un riposino pomeridiano e quando si è svegliata, con un sorrisetto svagato da adolescente, mi ha raccontato che aveva appena sognato di essere pesantemente corteggiata da spalletti. Mia nonna infatti adesso è a pezzi per la finale di coppa italia, non solo per il risultato ovviamente, ma perchè il suo eroe è caduto, anche se in realtà non è proprio caduto, ha mostrato semplicemente l'irreprimibile istinto da borgataro che aveva imparato con gli anni a camuffare, ed è caduto non lui, ma l'immagine idealizzata che tutti, compresa mia nonna, si erano sforzati di cucirgli addosso. E va beh. Capita questo e altro). Comunque pare che ogni volta che urlassero per festeggiare i goal, io mi mettessi a piangere, non capendo il sottile ma istantaneo passaggio dalla calma piatta a quell'animosità repentina un po' sguaiata. Nonostante dunque la mia idea di tifoseria sia nata sotto una cattiva stella, alle elementari dichiaravo di tifare la roma. Scelta svantaggiosissima, visto che il mondo a quei tempi, al centro nord, si divideva in bianconero e in rossonero. Mi pigliavano tutti così per il culo e questa roma, a loro detta, vinceva talmente poco che ben presto, prima che iniziasse a diventare per me un vero e proprio handicap sociale, la feci sprofondare senza troppi ragionamenti nel mio dimenticatoio. E scelsi la via più facile. Cambiai squadra.Iniziai a tifare per la New Team.
Mai vi fu investimento emotivo più serio di questo: nessuna squadra, si sa, nella storia del calcio e nella storia di tutti gli sport di squadra, è mai stata in grado di regalare al suo pubblico momenti di pathos estremo così indissolubilemente legati alla certezza della vittoria. Mai. Con mia cugina seguivamo Holly e Benji con una passione che non ho mai più avuto per nessun programma televisivo in seguito. (Gran cazzata. Mi sa che qualche anno dopo Beverly Hills si aggiudicò la palma d'oro del decennio, nella classifica televisiva del mio cuore. Per fortuna però non parlava di calcio. Ma questa parentesi televisiva non ha alcun senso perchè Holly e Benji non era una cosa televisiva era una fede ed era vita vera al punto che).Con mia cugina provammo e riprovammo a fare la catapulta infernale dei fratelli Derrick in un pomeriggio domenicale in cui io rischiai di rompermi una costola. Perchè chiaramente dovevo interpretare il gemello più sfigato che si stende a terra e dà la spinta all'altro per farlo saltare fino a toccare il sole con un dito, fare una quadruplo salto mortale, saltare sulla traversa, da lì fare una rovesciata e poi, GOAL! Solo che mia cugina mi cadeva addosso molto prima. Ma in generale lei era una forza della natura, lei scartava quattro energumeni maschi alla volta giù in cortile, nonostante questi la sovrastassero in altezza. Una vera e propria messi ante litteram, ché ormai siamo arrivate a un'età in cui siamo più grandi di parecchi calciatori (cosa che inizio a trovare inquietante). Quando giocavamo assieme, quando cioè si prodigava a darmi una lezione per mantenere alto l'onore della famiglia, lei interpretava sempre Holly e io non volevo mai fare Benji, tanto non gliene paravo una, allora volevo essere Tom Becker, colui che fornisce la maggior parte degli assist a Holly, ma lei non mi dava il permesso di essere Tom perché aveva capito che ci tenevo troppo ad essere ALMENO Tom e scuoteva il capo. Allora io le proponevo di giocare contro di lei in qualità di Mark Lenders, per perdere ma con onore. Solo che questa idea era ancora peggiore della precedente, perchè io a sei anni tutto potevo evocare tranne la potenza fisica di Lenders. Infatti ricordo un giorno che lei (che pure è più piccola di me di un po' di mesi, quei mesi che fanno la differenza quando sei piccolo), senza neanche dichiarare esplicitamente quanto mi ritenesse inadatta al ruolo disse solo due parole, decisive: tu fai Bruce.



(questa non è neanche la fine della storia a dire il vero. ma per parlare del senso aspettiamo almeno la fine del campionato)